Sono tantissime le leggende romane e alcune si perdono nella notte dei tempi. Millenni di storia hanno lasciato tracce indelebili nell’immaginario collettivo, dalla leggenda di Romolo e Remo fino al Ratto delle Sabine. Oltre a questi esempi, molto famosi, ci sono altre leggende romane che ci riportano a una Roma misteriosa e sotterranea, a un percorso affascinante fra palazzi e vicoli in cui la realtà e la fantasia si sono così profondamente intrecciate da non potersi più dividere. Fantasmi, atmosfere magiche, oscuri scorci fra rovine in cui, spesso, si ha la sensazione che passeggino ancora i protagonisti di un passato lontano, ma ancora parte del tessuto vivente della Città Eterna.
Il Muro Torto
Ha più di 1700 anni il Muro Torto a Roma, che delimita circa un chilometro di strada che da Piazzale Flaminio va a piazzale Brasile. Il muro è stato eretto in età Repubblicana e la leggenda vuole che fosse stato San Pietro a santificarlo per difendere Roma dalle invasioni. A dispetto di ciò, si tratta di un muro maledetto: ancora oggi capita spesso che la macchina si guasti proprio vicino a Via del Muro Torto e, in passato, spesso qualcuno si buttava giù proprio da quella parete per togliersi la vita. Ma perché? In passato ai suoi piedi venivano sepolte persone sconsacrate: suicidi, vagabondi, delinquenti, e sembra che quelle anime prive di sepoltura religiosa vaghino ancora nella zona. In epoca antica si sparse la voce che dalle parti di quel muro vagasse l’anima di Nerone. Il 25 novembre del 1825, a piazza del Popolo, proprio alle spalle del Muro Torto, vennero giustiziati i carbonari Targhini e Montanari, per poi essere sepolti al Muro Torto: e pare che i loro spiriti non si siano mai mossi da lì. Continuano a vagare con la loro testa in mano e danno i numeri del lotto ai coraggiosi che osano sostenere il loro sguardo.
La sedia del diavolo
Il monumento funebre di Elio Callisto, in piazza Callisto a Roma, è chiamato “Sedia del diavolo”. Costruito nel II secolo d.C., fu soprannominato così dopo il crollo della facciata. Si diceva fosse stato il Diavolo stesso a provocare il crollo parziale delle mura che, ben presto, divennero rifugio di pastori e persone senza fissa dimora. I fuochi che queste persone accendevano di notte conferivano alla Sedia del diavolo un aspetto ancora più inquietante. Si racconta che, nel 1800, un pastore di nome Giovanni rincorse una pecora fino alla Sedia e lì fu investito del potere di guaritore. Cominciò così a preparare pozioni magiche raschiando la polvere dai mattoni del monumento. Quando però la sua fama giunse in Vaticano, Giovanni fu costretto a fuggire perché accusato di stregoneria. Si pensava inoltre che la sedia del diavolo fosse una minaccia al seggio papale e il monumento, nei secoli, fu teatro di stregonerie e rituali come i “Lemuria” o “Lemuralia”, celebrati per esorcizzare gli spiriti dei morti.
Nerone e Berta
Berta era una povera filatrice di Roma. Un giorno incontrò l’imperatore romano Nerone e gli augurò di avere tanta salute, in modo da campare cento anni. Nerone restò di stucco, perché sapeva di essere odiato dal suo popolo. E allora chiese a Berta il perché del suo augurio. Berta rispose: “Perché dopo uno cattivo ne viene sempre uno peggiore”. Nerone, allora, le chiese di presentarsi il giorno seguente al palazzo e di portargli tutto il lino che avrebbe filato da quel momento fino all’indomani mattina. Berta continuò a filare tutta timorosa. Aveva paura che l’imperatore volesse usare quel filo come corda per impiccarla alla forca. La mattina dopo la donna si presentò al palazzo di Nerone: l’imperatore si fece dare tutto il lino, poi le disse di legare un capo del gomitolo alla porta del palazzo e di camminare per tutta la lunghezza del filo. Quindi chiamò il maestro di casa e gli comunicò che, per quanto fosse stato lungo il filo, la campagna al di qua e al di là della strada sarebbe appartenuta tutta alla donna. Berta lo ringraziò e, da quel giorno, non ebbe più bisogno di filare per vivere. La voce si sparse e molte povere donne si presentarono da Nerone sperando nella fortuna che era toccata a Berta. Ma l’imperatore rispose a tutte che non era più tempo che Berta filava. Questa bella leggenda romana è stata inserita da Italo Calvino nelle sue Fiabe Italiane.
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