La diatriba è di quelle serie: si dice arancino o arancina? Ne va dell’identità di una delizia siciliana, ormai patrimonio gastronomico nazionale. Una palla o cono di riso impanato e fritto, farcito con ragù, piselli e caciocavallo, o anche con dadini di mozzarella e prosciutto cotto, il cui nome ha portato alla creazione di vere e proprie fazioni opposte. È l’Accademia della Crusca, come sempre quando si tratta di dubbi sulla lingua italiana, a fare un po’ di ordine. E allora, partiamo dal principio: il nome della specialità siciliana deriva dall’analogia con il frutto dell’arancio, cioè l’arancia. E qui si segnerebbe il primo punto a favore della forma femminile del nome, ma poi la letteratura in merito porta in una direzione leggermente diversa. Vediamo quale.
L’arancina è femmina?
Se l’arancia è femmina, anche l’arancina è femmina? Un’attestazione di arancina esiste in un testo di fine Ottocento scritto dal catanese Federico De Roberto, il quale si rifà al modello linguistico toscano. Fra il 1895 e il 1900, inoltre, Corrado Avolio adotta la variante femminile nel suo “Dizionario dialettale siciliano”, ripresa più tardi anche da Giacomo De Gregorio in “Contributi al lessico etimologico romanzo con particolare considerazione al dialetto e ai subdialetti siciliani”. Lo Zingarelli del 1917 adotta il termine “Arancina” per indicare il “pasticcio di riso e carne tritata, in Sicilia”, così come il Panzini nell’edizione del 1927. E poi? Nulla. In letteratura, del termine arancina non si trova più nessuna traccia, anche se la forma femminile prevale nell’uso dei parlanti palermitani.
Arancini siciliani
E qui entrano in ballo i sostenitori della forma maschile. Di arancini siciliani, o meglio di arancinu, si parla già nel 1857 nel “Dizionario siciliano-italiano” di Giuseppe Biundi, anche se con questa forma si va a denominare una pietanza dolce di riso dalla forma di una melarancia. L’arancinu ricompare poi nel 1868, nel “Nuovo vocabolario siciliano-italiano” del Traina. Secondo Salvatore C. Trovato, inoltre, la specialità potrebbe derivare non dalla forma, ma dal colore dell’arancia. Partendo dal presupposto che in siciliano i nomi dei colori si formano dalla base nominale e dal suffisso – inu, ecco che arancinu, ossia “di colore arancio”, ecco che la forma “arancino” riprende quota, suffragata anche dal “Dizionario moderno” del Panzini (1942), da vari dizionari italiani e dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nella lista di Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani. Anche il commissario Montalbano parla di arancini. E se lo dice lui, anche gli italiani si adeguano.
Arancine o arancini
Dunque, ricapitoliamo: arancine o arancini, sia la forma femminile sia quella maschile sono attestate. La conclusione dell’Accademia della Crusca è inequivocabile: entrambe le forme sono corrette. Entrando più nel dettaglio, la forma “arancino” non fa altro che italianizzare il modello morfologico dialettale, mentre la forma “arancina” nasce dal modello dell’italiano standard. Per chi però non è ancora convinto, ci ha pensato lo chef e imprenditore catanese Andrea Graziano a unire idealmente le arancine palermitane e gli arancini catanesi, realizzando le arancinie, che comprendono due arancini a punta e due arancine tonde. A vincere, come sempre, è il sapore di una specialità che ha avuto il potere di diventare un simbolo.