Non è necessario essere degli appassionati e nemmeno dei musicisti professionisti per riconoscere un brano di musica indiana già fin dalle prime note. L’utilizzo dei tipici strumenti musicali indiani è infatti parte di ciò che rende questa musica così diversa e al tempo stesso immediatamente riconoscibile alle nostre orecchie di ascoltatori occidentali.
Naturalmente non è l’unica ragione, infatti la musica indiana utilizza anche sistemi differenti da quella tonale occidentale a cui siamo maggiormente abituati. Prepariamoci allora ad esplorare insieme questo lontano e affascinante mondo musicale.
- I due tipi di musica indiana
- Gli strumenti a corde
- Le percussioni
- Gli strumenti a fiato
- La musica indiana in Occidente
I due sistemi di musica indiana
Innanzi tutto è bene specificare che all’interno della tradizione classica è possibile distinguere due tipi di musica indiana. Sebbene abbiano delle caratteristiche in comune rimangono tuttavia diversi, e diverso è anche lo scopo per cui si sono sviluppati. Questo non deve stupire, visto che stiamo parlando del settimo paese più grande del pianeta, che ha da solo una grandezza pari a quella di un subcontinente, e infatti la differenza tra i due tipi di musica indiana risiede anche nella geografia. Le due principali famiglie musicali sono: la musica hindostana, originaria nel nord del paese, e la musica carnatica, che si può ascoltare principalmente a sud di Bangalore. Entrambe utilizzano il sistema dei raga, ovvero dei cicli musicali che basano la loro durata sulle fasi del giorno o dell’anno, e che prevedono l’utilizzo di scale musicali specifiche. La musica carnatica, però, privilegia l’utilizzo della voce rispetto agli strumenti, ed è una musica funzionale a cerimonie religiose, mentre nella musica hindostana si fa un ampio uso di strumenti musicali indiani tradizionali in grado di imitare la voce umana, nonché di percussioni.
Gli strumenti a corde
Senza dubbio gli strumenti a corde rappresentano il gruppo più numeroso tra quelli impiegati nella musica tradizionale indiana. Alcuni di essi, come il sitar o le chitarre indiane, sono ormai più famigliari anche a un pubblico occidentale, per via del loro utilizzo nella musica pop occidentale, altri rimangono ancora oscuri e poco conosciuti. Un esempio interessante è costituito dal sarod, uno strumento assolutamente dominante nella musica hindostana, che ha 8 corde, un manico triangolare e la tipica cassa armonica a mezza sfera. Quest’ultima è una caratteristica comune a molti strumenti a corde usati nella musica classica indiana, e trattandosi sempre di strumenti tradizionali di origine popolare, nella maggior parte dei casi viene ricavata da una o più zucche svuotate. Un altro tratto in comune di questi cordofoni è il fatto che, pur essendo possibile suonarli col plettro come una comune chitarra, molto spesso i musicisti preferiscono pizzicare le molte corde direttamente con le unghie della mano. Questa tecnica è stata messa a punto dai musicisti indiani per poter pizzicare le corde una dopo l’altra, sfruttando la risonanza rispetto alla corda bassa fondamentale, chiamata bordone o drone. Così vengono suonate, ad esempio, sia la vina, una specie di liuto costituito da due zucche svuotate unite da un manico, che la tambura, anch’esso una sorta di liuto allungato ma privo di tasti. Fa eccezione il sarangi, una strumento simile alla lira greca, che viene suonato con un archetto in posizione verticale ed è il principale strumento ad arco della musica indiana.
Le percussioni
Un altro capitolo interessante dell’universo musicale indiano è quello delle percussioni. Mentre i cordofoni sono utilizzati per lo più nella musica hindostana, gli strumenti a percussione sono invece comuni tanto a questa quanto alla musica carnatica del sud del paese, dove hanno il compito di accompagnare ritmicamente le voci. L’origine popolare di questi strumenti è evidente già dai materiali con cui sono costruiti: il ghatam, ad esempio, è una sorta di vaso panciuto in terracotta o in ceramica, con una grossa apertura sulla sommità e a seconda di dove viene colpito può produrre un suono acuto o grave. È molto usato nella musica carnatica e il suo nome in sanscrito vuol dire proprio ‘vaso’. Il più famoso tamburo indiano è sicuramente il tabla, con la sua forma a rombo sui cui lati si tirano i lacci che tendono la pelle della sua estremità superiore. Il tabla si suona sempre in coppia e i due tamburi hanno dimensioni e funzioni diverse: il più grande si suona normalmente con la mano sinistra ed emette suoni più gravi, mentre il più piccolo si suona con la mano destra per ottenere timbriche più acute. L’ektara è infine uno strumento a metà tra i cordofoni e le percussioni: è formato da una corda tesa da una canna di bambù sopra una cassa di risonanza di zucca, come avrete immaginato. Può essere quindi percosso o pizzicato in piedi e in movimento ed è per questo usato spesso nelle processioni religiose per accompagnare il canto.
Gli strumenti a fiato
Una delle tipicità delle sonorità musicali indiane è legata all’utilizzo di strumenti a fiato appartenenti alla famiglia dei flauti e degli oboe. Il flauto indiano per eccellenza è chiamato bansuri, e pare sia stato inventato prima dei flauti in uso in occidente. Viene solitamente ricavato da una canna di bambù e i fori vengono premuti non con i polpastrelli, bensì con le falangi delle dita per ottenere glissati e passaggi di semitono che danno alla musica un caratteristico sapore orientale. Il bansuri viene impiegato per lo più nella musica indostana, mentre il suo corrispettivo nella musica carnatica sarebbe il pulanguzhal, che ha otto fori per le dita e una diteggiatura particolare. Tra gli altri strumenti a fiato caratteristici dell’India e della sua musica figura lo shanai, ovvero una specie di oboe, strumento con cui condivide anche la doppia ancia. Viene ricavato da una canna e ha un suono acuto e potente che viene considerato propiziatorio, ragione per cui viene usato spesso nelle processioni o nei matrimoni anche all’aria aperta.
La musica indiana in Occidente
La seconda metà del ventesimo secolo ha visto per fortuna una grande diffusione della musica indiana in Occidente. Ciò grazie ad alcuni pionieri del genere che hanno avuto modo di fare tournée in Europa o negli Stati Uniti e anche di collaborare con musicisti occidentali, creando delle interessanti connessioni tra generi musicali molto diversi tra loro. Un esempio su tutti è quello di Ravi Shankar, celebre per essere stato insegnante di sitar della star dei Beatles George Harrison, ma che ha anche collaborato con musicisti americani come Philip Glass nella realizzazione di album sinfonici che fanno ampio ricorso al sitar come strumento solista e ai raga indiani. Il tabla ha guadagnato una maggiore notorietà grazie a Trilok Gurtu, percussionista tuttora in attività che ha collaborato a lungo con Joe Zawinul e i Weather Report e suona oggi con il trombettista sardo Paolo Fresu.