L’uva preferita? L’uva senza semi, fino a qualche tempo fa destinata all’essiccazione per la produzione di uva passa e nota come uva sultanina e ora sempre più diffusa anche come prodotto da tavola.
L’Italia è il terzo esportatore di uve da tavola al mondo, dopo Egitto e Cile. La varietà più esportata è stata per molti anni l’Uva Italia, ma c’è una richiesta sempre maggiore di varietà apirene, che sta superando per quella di uva con semi, molto apprezzata dai bambini e indicata per marmellate e per la vendita del prodotto già confezionato. Se prima erano in prevalenza i mercati esteri (Germania in particolare) ad apprezzare questo frutto, il consumo di uva senza semi sta ormai rapidamente crescendo anche tra i consumatori italiani.
Uva Sultanina
Il primo tipo di uva senza semi esistente in natura è la Stenospermocarpia, definita Sultanina. L’uva senza semi che viene commercializzata per il consumo fresco appartiene a questa tipologia che, più che essere completamente priva di semi, contiene semi di dimensioni così trascurabili – che sono rudimenti di vinaccioli abortiti dalla pianta – da non essere quasi percepiti dal consumatore.
La produzione di questo tipo di uva è naturale: la pianta viene impollinata nel fiore e fecondata. Il breve periodo di sopravvivenza del seme in fase di crescita è abbastanza perché la bacca cominci ad allegare e si producano ormoni stimolatori della crescita, ma l’acino blocca la sua crescita rimanendo piccolo e facendo morire l’embrione, cioè il seme, che quindi non svilupperà più gli ormoni della crescita: i semini nell’acino saranno atrofizzati e privi di vita, ma manterranno le loro pareti legnose.
A questo gruppo appartengono le varietà di uva “senza semi” esistenti in commercio: Early Red, Early Gold, Regal, Sugraone, Perlon, Centennial, Thompson, Crimson.
Uva di Corinto
In natura esiste anche un altro tipo di uva senza semi, la Partenocarpia, completamente senza semi, definita Corinto. La sua produzione avviene tramite impollinazione ma non c’è fecondazione e quindi il seme non è prodotto. Gli acini crescono per l’effetto dell’impollinazione sulla produzione degli ormoni della crescita facendo moltiplicare e dividere le cellule dell’ovario come se ci fosse realmente stato un processo di fecondazione. L’effetto è temporaneo e le dimensioni troppo ridotte degli acini ne scoraggiano eventuali utilizzi commerciali.
Per aumentare le dimensioni degli acini si possono utilizzare delle tecniche di forzatura e stimolazione ormonale: la pianta può essere stimolata con applicazioni di fitormoni di sintesi, di concimi e di tecniche colturali particolari, ma queste pratiche, oltre a generare un incremento notevole dei costi di produzione dell’uva, determinano la perdita delle caratteristiche organolettiche tipiche del prodotto, rischiando di alterarne gusto, aroma, consistenza e valore nutritivo.