Che cos’è la “cazzimma”? Chi ce l’ha non ve lo dirà mai. Al massimo avrete una risposta del genere: “Nun t’o bboglio ricere, chest’è a cazzimma”, ovvero: “Non te lo voglio dire, questa è la cazzimma”. “Cazzimma” è un neologismo napoletano che indica un’acuta furbizia, la capacità di volgere astutamente le situazioni a proprio favore, sempre e ad ogni costo, anche sfruttando amici e parenti, se necessario.
Secondo Renato De Falco, l’origine del termine cazzimma risale al gergo adolescenziale napoletano alla fine degli anni ’50 (Alfabeto napoletano, Colonnese).
Nel Dizionario storico dei gerghi italiani (Mondadori), Ernesto Ferrero definisce la cazzimma come un termine diffuso soprattutto nel lessico giovanile campano e utilizzato per indicare un insieme di atteggiamenti negativi: “autorità, malvagità, avarizia, pignoleria, grettezza”, a cui vanno aggiunti astuzia, furbizia e cinismo.
Il termine “cazzimma” è tra i più noti del dialetto partenopeo ed è diventato famoso oltre i confini della città e della regione Campania grazie a Pino Daniele, che nel noto pezzo “A me me piace ‘o blues” cantava: “Tengo ‘a cazzimma e faccio tutto quello che mi va”. A Napoli si nasce con la cazzimma e l’unico modo per combattere il “cazzimmoso” – colui che ha la cazzimma – è avere ancora più cazzimma.
Cazzimma etimologia
La parola cazzimma va collegata al nome dell’organo sessuale maschile a cui è stato aggiunto il suffisso napoletano –imma, che proviene dal latino –īmen – come il corrispettivo italiano -ime: ad esempio, concime, mangime.
Il suffisso napoletano –imma ha una connotazione collettiva o dispregiativa: calimma “calore”; canimma “puzzo di cane; branco di cani”; rattimma “eccessiva libidine”; zuzzimma “sporcizia”.
I vocabolari del napoletano dell’’800 e del ‘900 (Altamura, Andreoli, D’Ambra, Rocco) non registrano il lemma cazzimma, presente solo a partire dagli anni ‘90 (Iandolo e De Falco ma non D’Ascoli).
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